sabato 3 agosto 2013
L’intervento. Meloni (Fdi): La destra (senza trattino) riparte se diventa una “Cosa vera”
Per anni non si è parlato di nulla, poi, all’improvviso s’infiamma il dibattito intorno al futuro del centrodestra italiano. Il termine dibattito è in realtà un eufemismo, diciamo che si discute intorno alla decisione monocratica di Silvio Berlusconi di abolire il progetto del Pdl per ritornare a Forza Italia. Tanto per essere subito chiara e onesta con tutti coloro che me lo chiedono in questi giorni, personalmente non mi appassiona la querelle intorno alla riedizione di Alleanza nazionale, operazione speculare in linea con il revival inaugurato da Berlusconi. Né mi convince la realizzazione di un’inquietante “cosa nera”, come hanno affermato diversi giornalisti, evidentemente appassionati di film horror. La verità è che subisco il fascino di un’impresa alla portata della nostra epoca e delle nostre umili facoltà: radicare nel cuore della patria una “cosa vera”, un movimento politico di uomini e di donne che cambi l’Italia e affidi alle generazioni future il testimone di un viaggio dentro la storia dei popoli. Voglio fare la mia parte in questo viaggio, per dare una continuità al sacrificio di tanti nel passato e per regalare ai nostri figli un piccolo tesoro di civiltà di cui andar fieri.
Per questo è nata Fratelli d’Italia: non per vincere delle elezioni, ma per fare delle cose. E certo in una democrazia bisogna passare attraverso il conteggio dei voti nelle urne, ma non basta, lo abbiamo visto purtroppo. Senza il radicamento di un’idea politica nelle piazze, nei mercati, penso a quelli rionali come a quelli finanziari, nella cultura, nelle organizzazioni di categoria, nella comunicazione di massa, negli enti locali a ogni livello. Senza una visione del mondo, magari imperfetta ma definita nei suoi mille colori, si possono anche vincere le elezioni, ma non si lascia un segno nella storia. Si tratta forse dell’insegnamento più crudele degli ultimi vent’anni. Non basta un leader straordinariamente carismatico, servono delle idee coraggiose e persone, tante, che se ne facciano carico affermando quella visione nel quotidiano. Ci vorrà tempo, fatica per farlo, eppure le scorciatoie sanno solo di effimero. Come lo sono state troppe nostre esperienze di governo centrali e periferiche, nel corso delle quali è mancato il coraggio di osare, di aggredire i vizi mortali che hanno corroso lo spirito e la carne viva della popolazione.
La bellezza della scelta politica sta tutta nel rischio di fallire nell’attimo stesso in cui si è chiamati alla responsabilità di amministrare. Ci può stare, dobbiamo metterlo in conto, ma rinunciare alla sfida per paura di perdere o per soggezione rispetto ai poteri forti, rispetto all’egemonia culturale della sinistra, rispetto agli appetiti famelici degli speculatori accampati alle porte delle istituzioni, questo proprio non ci sta. Le ultime elezioni amministrative hanno certificato un buon successo di Fratelli d’Italia, eppure esaltare tale dato all’interno di un contesto così disastroso per il centrodestra, mi sembrerebbe miope. D’altra parte, i nodi arrivano sempre al pettine in politica. Nel bene e nel male. Quando, per sciatteria o per egoismo prima che per scelta consapevole, si preferì non costruire sul territorio nazionale un partito di centrodestra prescindente dal proprio leader, che fosse autenticamente radicato in ogni quartiere e in ogni città; quando si rinunciò a un partito patrimonio di tanti, di tutti, e non di uno solo per quanto ricco, pieno di tv e dotato di un enorme consenso personale, per inseguire una poltrona da parlamentare o per vili vantaggi privati; allora, si è scelto di non lasciar traccia del proprio impegno politico.
Appare ormai sempre più chiaro che la stessa adesione del Pdl al governo Letta si inserisce in questa logica di resa, condizionata solo al mantenimento di uno stipendio parlamentare quanto più a lungo possibile. E figuriamoci dopo la batosta delle recenti amministrative! L’aumento dell’Iva, da che era impossibile si è tramutata in “inevitabile”. Parola del ministro per lo sviluppo economico. L’abolizione dell’Imu? Da che era imprescindibile, adesso si afferma che le risorse necessarie “non sono più rinvenibili”, parola del ministro dell’Economia. Possiamo ben comprendere il disagio di quanti nel Pdl (continuo a chiamarlo così per intenderci meglio), si spendono per cercare di zittire i propri colleghi di governo. Ma l’operazione “governo delle larghe intese” ogni giorno smarrisce uno dei tanti veli di ipocrisia che lo avvolgono. E finisce per rimanere esposto al ludibrio degli italiani che non hanno mai creduto alla barzelletta dell’armonia costituzionale. Come noi. E allora si cambi subito questa maledetta legge elettorale anziché giocare con la pazienza e con i soldi degli italiani. Poi si voti, senza perdere altro tempo dietro inutili manfrine.
Purtroppo, ho la sensazione che gli ultimi risultati elettorali pongano ancora più in difficoltà i nostri alleati del Pdl, ove mai decidessero di abbandonare il governo con la sinistra. Credo sarebbe auspicabile una scelta di coraggio, ma se vogliono autodistruggersi, me ne dispiaccio perché siamo tutti sulla stessa barca. D’altra parte, leggo in queste ore della decisione di tornare a Forza Italia, una sorta di “holding” elettorale con venti “manager” regionali, partite iva, etc… Che dire…auguri! Io ho un’altra idea della politica. E forse anche molti italiani di centrodestra. Solo per fare qualche numero. Nel 2008 il centrodestra stravinse ottenendo 17 milioni 63mila voti. Il Pdl fece il pieno con 13 milioni 628mila voti, seguito dalla Lega Nord con 3.024.522. Il Movimento per le Autonomie di Lombardo ottenne invece 410.487 preferenze. Nel 2013 il Pdl ha ottenuto solo 7.332.121 voti, vale a dire oltre 6 milioni di voti in meno! Anche considerando i voti di Fratelli d’Italia (700mila) il centrodestra berlusconiano ha comunque perso 5 milioni e mezzo di voti, una enormità. Dove sono finiti? Non a sinistra, questo è certo. Una parte sicuramente nel raggruppamento di Monti con Fli e Udc: 3.591.560 voti. Ma dentro di questi vanno considerati gli oltre due milioni di consensi ottenuti dall’Udc nel 2008. Un’altra fetta piuttosto consistente di voti è certamente andata a Grillo con ben 8.688.545 voti. Vera e propria novità dell’ultimo anno.
Ma dove voglio andare a parare con tutto questo parlar di cifre: il declino del maggior partito del centrodestra, il quale esiste finché resiste il povero Cavaliere, l’inesorabile scomposizione della coalizione di Monti, l’inevitabile collisione con la realtà del Movimento 5stelle, consegneranno a quella forza politica capace di rappresentarsi come credibile e determinata la maggioranza degli elettori. Quella maggioranza degli italiani che non è e non sarà mai di sinistra, ma che solo l’insipienza di un centrodestra evanescente può rendere schiava della sinistra. Noi li conosciamo questi italiani. Sono persone semplici che guardano alle cose essenziali, amano la libertà, la propria famiglia, credono in Dio, nelle proprie mani segnate dal lavoro. Sono estrosi, ottimisti, affascinati dal futuro. Certo sono anche incazzati e preoccupati, soprattutto per colpa di una classe dirigente che si aggrappa alle poltrone, terrorizzata dal rischio della sfida. Quegli italiani sentono forte il senso di appartenenza a una Patria, a un destino comune, sopra ogni cosa. E ogni giorno scelgono di appartenersi. È il loro modo, è il nostro modo, di sentirci meno soli, di superare la mortalità delle nostre esistenze.
Sto scrivendo da diversi minuti… eppure non ho ancora citato la parola più attesa del momento: destra. Volutamente scelgo di farlo solo ora, nella parte finale del mio intervento, perché non voglio speculare su di essa per meri calcoli elettorali. In questi anni abbiamo preferito da ambedue le parti aggiungere il suffisso centro alle parole destra e sinistra, per moderare le rispettive tensioni ideali e per conquistare quella fetta di elettorato cattolico, figlio della tradizione democristiana, decisivo per le sorti elettorali dai primi anni ’90 a oggi. Francamente credo che non ve ne sia più bisogno. Anzi, penso sia necessario segnalare alla cittadinanza le rispettive divergenze ideali affinché ritorni nella politica italiana quella giusta componente di idealità, distrutta dai governi Monti e Letta, capace di smuovere la coscienza popolare e perché no, anche di riportarlo al voto.
La destra che ho in mente non sarà mai un articolo vintage appeso alla bancarella dei nostri ricordi. La destra che ho in mente si nutre di futuro. Si disseta alla fonte di idee forti che hanno attraversato la storia d’Italia dall’antica Roma a oggi, passando per i codici medievali, le tele del Rinascimento, i sacrifici in battaglia, le vittorie sportive, gli angeli del fango e quelli fra le macerie delle città terremotate. La destra che ho in mente, agita temi nuovi e antichi come la difesa dell’ambiente, della natura, di “quell’equilibrio da mantenere a tutti i costi per noi e per chi verrà dopo di noi, fra cento o duecento anni”. Lo diceva un amico Paolo Colli parlandoci della raccolta dei rifiuti, quando Beppe Grillo ancora conduceva Te lo do io il Brasile.
La destra che ho in mente, rispetto al Pdl o alla Lega o a qualunque altro partito sulla scena politica italiana è più liberale in economia e più conservatrice nei valori. La famiglia innanzitutto, dove tutto inizia e si conclude. Non un dogma religioso, ma un elemento fondativo della nostra comunità. Un sentimento antico e moderno: figuriamoci se qualcuno di noi può davvero scandalizzarsi per una migliore definizione dei diritti individuali delle persone omosessuali. Ma altra cosa sono i matrimoni omosessuali, inutile strumentalizzazione di un fatto umano decisivo per l’ordinamento naturale, prima che giuridico. Stesso discorso vale per la sicurezza: un diritto di libertà, un’iniziativa solidale nei confronti dei più deboli, degli indifesi, non un capriccio piccolo borghese come si è cercato di dipingere a sinistra. Troppo spesso abbiamo piegato la testa di fronte alle caricature che venivano fatte degli elementi fondanti della nostra visione del mondo. Noi esistiamo per conservare e difendere questi elementi.
Come difendiamo la libertà economica. Briglia sciolte a chi rischia, a chi crede nella bellezza dei propri sogni. Esca lo Stato da tutto ciò che non gli compete: società partecipate, consorzi, intromissioni e attività private di ogni genere. Si liberino così le risorse per sgretolare il macigno della pressione fiscale e per liberare il gigante della crescita economica. Il corollario della libertà nell’attività imprenditoriale si chiama merito. Ed è una chiave di lettura utile per non sbagliare i passaggi più importanti del nostro tempo: dalla scuola alle università, dalle professioni al mercato del lavoro in genere. Ma quel merito, per emergere, ha bisogno di uguaglianza. Di rimuovere i privilegi consolidati e le rendite di posizione che ancora albergano numerosi in Italia. Privilegi ingiustificati, incomprensibili, difesi dai soliti poteri che ne sono anche beneficiari. La destra che ho in mente lavora per abbatterli, uno per uno, perché solo quando metteremo tutti sulla stessa ideale linea di partenza, e la competizione non sarà falsata, potremo davvero premiare chi arriva più lontano.
La destra che ho in mente, custodisce il ricordo dei martiri della legalità come Falcone, Borsellino, Giancarlo Siani o Peppino Impastato; senza alcuna distinzione ideologica o politica. E per due motivi fondamentali: perché dove c’è mafia non c’è Italia, e perché dove c’è la mafia non può vincere il merito. Diceva Luc de Vauvenargues: “L’onestà, che ai mediocri impedisce di raggiungere i loro fini, per gli abili è un mezzo in più per riuscire”. La destra che ho in mente cavalca senza freni le nuove tecnologie, come internet. Ma sa pure sdraiarsi al sole su un prato verde di periferia sopravvissuto alla speculazione edilizia. E ha un rapporto intimo con la propria tradizione. Al di là degli spazi elettorali e delle convenienze politiche del momento, la destra che ho in mente ha una certa familiarità con il divino, che la sinistra non potrà mai avere. Saluto e augurio, è l’ultima poesia di Pierpaolo Pasolini. La scrisse in italiano e in friulano. Se nel Ventunesimo secolo c’è ancora qualcuno che considera Pasolini un autore di sinistra, è qualcuno che non lo ha mai letto.
Un vecchio vizio, collocare gli scrittori in base al sentito dire. Ma comunque la si pensi sul suo autore, questa poesia è il testamento di uno spirito alto, logorato dalla quotidiana guerra con una vita difficile, e non lo consegna a un intellettuale del Manifesto o a un politicante comunista degli anni ‘70. Lo consegna a un ragazzino in camicia nera. Un fascistello scapestrato, di quelli che abitano in periferia o nella curva dello stadio e lo sono più per scelta ribelle che non per reale convinzione. “Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato tra l’ultima casa del paese e la roggia… Muori d’amore per le vigne… La confidenza col sole e con la pioggia, lo sai, è sapienza sacra. Difendi, conserva, prega! I padri hanno cercato e tornato a cercar di qua e di là, nascendo, morendo, cambiando: ma son tutte cose del passato. Oggi difendere, conservare, pregare… Occorre la Chiesa: ma che sia moderna. E occorrono i poveri. Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri… Dentro il nostro mondo, di’ di non essere borghese, ma un santo, un soldato: un santo senza ignoranza, o un soldato senza violenza. Porta con mani di santo o soldato l’intimità col Re, Destra divina che è dentro di noi, nel sonno”.
Ciò che ho in mente si può chiamar destra o centrodestra o partito popolare o come diavolo volete, ma è lì, dentro l’anima profonda degli italiani, sotto la loro pelle, nei loro sogni. A noi tocca il compito di portarla fuori dai sogni e dentro la realtà. Includendo, disseminandoci sui territori, sui muri, sui libri, nelle televisioni. Facciamoci trovare di nuovo pronti all’appuntamento con il destino della vita politica italiana. Dedichiamoci alla realizzazione di una grande Cosa Vera, il suo colore, bianco, rosso o nero ha poca importanza. Ciò che conta è non fallire. Questa volta. Per chi c’era prima e per chi verrà dopo di noi.
*tratto dal numero di Charta Minuta “Maldestra”
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