L'intervento di Guido Crosetto pubblicato da "Libero Quotidiano".
27 luglio 2013
27 luglio 2013
Ciò
che ieri ha detto Stefano Fassina ha scandalizzato molti benpensanti ed
ha arroccato ancor di più nelle loro fortificazioni manichee persone da
sempre ostili al lavoro autonomo. Per prima la signora Camusso, che
pensa di parlare sempre dei grandi signori di Confindustria e non
conosce la realtà di migliaia di piccole e medie aziende italiane. Sarà
perché in quelle non esiste il sindacato, ma ciò non toglie che loro
esistano ed abbiano il diritto di sopravvivere.
Al pregiudizio
ideologico di queste persone è purtroppo impossibile rispondere con
ragionamenti generali di buon senso. Bisogna provare ad illustragli la
verità della vita quotidiana con esempi concreti. Esistono gli evasori?
Sì, tanti, troppi. Ci sono persone che indisturbate continuano ad
evitare la fattura mettendo il cliente di fronte alla scelta di pagare
il 40% in più e procurandosi in contatti redditi elevati in barba ad
ognuno di noi. Ci sono grandi evasori che hanno costruito società,
trust, fiduciarie, marchingegni fiscali e che trovano ogni giorno
sistemi per nascondere guadagni ed utili. Ci sono persone che operano al
di fuori di qualunque controllo fiscale perché nemmeno hanno una
partita Iva. Ci sono e vanno stanati e puniti. Ma c'è un'altra faccia
del lavoro autonomo e dell'impresa. Ci sono migliaia di commercianti,
artigiani o piccoli imprenditori che ogni giorno devono tirare su una
serranda o aprire un portone che ha come conseguenza obbligata a questo
gesto quella di avere affitti, mutui, bollette, stipendi, fornitori,
contributi, tasse, da pagare. E quando il fatturato cala o magari si
incorre in un fallimento o un concordato, i soldi incassati non sono
sufficienti a pagare tutte le spese.
Accade ogni giorno in
migliaia di aziende, a migliaia di artigiani e commercianti. Ed infatti
chiudono, falliscono, cedono attività. Ma questi imprenditori, come
ognuno di noi, ha oltre all'attività, un figlio da mantenere, una tavola
da imbandire. Non ha tutele che lo supportano. Non ha associazioni che
lo aiutano. Non ha comprensione né solidarietà. Ha le proprie mani,
qualcosa messo da parte in anni di lavoro, se ci è riuscito, aggredì
bile senza problemi da banche e fisco, e la sua forza singola. Per
carità, lui sa bene che il rischio di impresa era dall'inizio tutto
sulle sue spalle. Ci sono ormai decine di migliaia di aziende e persone
che quando tirano le somme alla fine dell'anno vedono che il risultato
del loro lavoro, senza pause né orari, è quello di aver perso soldi,
bruciato ricchezza, accumulato un debito maggiore. Se voi vi trovaste in
questa situazione, considerereste la tassazione complessiva subita come
giusta? Se a voi lo Stato, sordo alle vostre difficoltà, nonostante
abbiate chiuso l'anno in perdita, chiedesse ancora di pagare Imu e Irap,
costringendovi ad aumentare la vostra perdita, a dover chiedere un
ulteriore mutuo o sconfinamento, vi sentireste ancora cittadini di serie
A in debito con la collettività? Se, dopo aver concluso un difficile
anno di lavoro in perdita, vi trovaste di fronte un rappresentante dello
Stato che, citando studi di settore fatti da persone che non hanno mai
visto un laboratorio artigianale se non in fotografia, dimenticandosi o
disinteressandosi del fatto che i clienti che negli anni precedenti vi
consentivano di lavorare non ci sono più, vi dice “induttivamente” cioè
su sua sensazione, quanto avete guadagnato e sulla base di ciò vi
facesse pervenire dall'Agenzia delle Entrate una cartella poi gestita
con metodi da Gestapo da Equitalia, vi sentireste in sintonia con le
parole di Letta? Penso che Stefano Fassina volesse dire questo. Ed ha
ragione, ha colto un silenzioso urlo di disperazione. Non è lui ad
essere lontano dal Paese reale. Anzi, caro Stefano, benvenuto. Capire
che esiste il tema della sopravvivenza fiscale quotidiana al di fuori
della categoria disoccupati o cassaintegrati non è un ragionamento di
centrodestra. È solo la verità.
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